Non solo Casteller: di San Romedio, Spormaggiore e Zoo in Germania

Nonostante l’obiettivo della nostra campagna #StopCasteller sia la chiusura del Casteller e la liberazione degli orsi, il carcere per plantigradi di Trento non è l’unico.
Con questo post cerchiamo di fare un po’ di chiarezza anche su altri luoghi in cui vengono detenuti questi grandi carnivori, luoghi orribili almeno quanto il Casteller.


Tenendo conto di tutti i dati che abbiamo raccolto ci sorge spontanea una domanda: la PAT dove pensa di rinchiudere JJ4 (cfr. punto 3) se tutte le carceri per orsi in trentino sono già sovraffollate?

Chi sarà il prossimo orso di cui cercheranno di liberarsi, per replicare all’infinito questo circolo di catture e trasferimenti?

Bruno nella Fossa di San Romedio

1. Bruno, l’orso rinchiuso in una fossa adiacente al santuario di San Romedio

Bruno è un orso dei Carpazi giunto in Italia illegalmente (forse rubato o comprato da un circo dell’est di passaggio) e sequestrato dal CFS in uno zoo illegale di Palestrina (Lazio) nel 2001.
Per oltre 10 anni rimane rinchiuso in un recinto a Pescasseroli (Abruzzo), fino a quando nel 2013, con l’intervento del WWF, viene trasferito in Trentino, a San Romedio. Qui viene rinchiuso in una fossa per usi religiosi ed è oggi esposto allo sguardo curioso dei numerosi visitatori.
La fossa di San Romedio ha “ospitato” dal 1955 ad oggi diversi orsi. Inizialmente aveva la dimensione di una gabbia, ma è stata poi ampliata fino a raggiungere l’estensione attuale di circa un ettaro, di cui però solo 1000mq (0,1 ettari) sono a disposizione dell’orso: Bruno dimostra disturbi del comportamento e i suoi movimenti sono innaturali e stereotipati.
Anche per questo orso, così come per Daniza e per tanti altri, non si è potuto fare nulla sul piano legale, dato che la procura di Trento e la Provincia Autonoma di Trento sembrano procedere perfettamente allineate in tema di gestione della fauna selvatica. Nel 2013 il Ministero dell’ambiente perse una causa in prima istanza e in appello per tirare fuori DJ3, la figlia di Daniza, dal Casteller. Dopodiché non vennero più fatti esposti alla procura. Anzi, nel giugno 2015 il Ministero approva la modifica al piano di gestione dell’orso trentino, accordando di fatto alla Provincia Autonoma di Trento maggiori poteri nella gestione degli orsi.

Cora e Cleo a Spormaggiore

2. Cora e Cleo, le due sorelle orse rinchiuse nello zoo di Spormaggiore

Il Parco Faunistico di Spormaggiore, in Trentino, è a tutti gli effetti uno zoo, nato nel 1994 e che nel corso degli anni ha “ospitato” diversi orsi provenienti da altre prigioni. Attualmente ne ospita due, Cora e Cleo, nate nel 1996 a San Romedio e trasferite a Spormaggiore nel 1999.
Il parco è accessibile a pagamento e viene visitato da circa 50mila visitatori ogni anno. Dal 2013 è entrato a far parte dell’“Unione italiana degli zoo e degli acquari”.
Alla base del progetto vi sarebbe stata la volontà della PAT di realizzare un habitat migliore per gli orsi che si trovavano in cattività a Sardagna e a Gocciadoro, sempre in Trentino.
La prima orsa reclusa a Spormaggiore si chiamava Bel: morta in cattività all’età di 48 anni, diversi anni dopo il suo compagno Fort, deceduto per via di un virus. Il figlio di Bel e Fort è il padre di Cleo e Cora e vive ancora in cattività nell’Osservatorio Eco-faunistico Alpino di Aprica, in provincia di Sondrio.
Lo spazio totale a disposizione delle due orse, secondo quanto si può dedurre dal sito del Parco Faunistico, è di circa 4000mq.

Jurka nello Zoo tedesco

3. Jurka, l’orsa deportata dalla Slovenia per il progetto di ripopolamento, poi finita in uno zoo in Germania

Jurka viene catturata in Slovenia nel 2001, durante una seconda fase di catture previste dal progetto Life Ursus, per il ripopolamento dell’orso bruno sull’arco alpino. Il 3 maggio viene rilasciata nel Parco Naturale Adamello Brenta, all’età di 4 anni.
Già nel 2005 la PAT chiede la rimozione dell’orsa dai boschi trentini, richiesta motivata dalle incursioni in pollai e baite disabitate e dall’eccessivo avvicinamento agli impianti sciistici da parte di Jurka e dei suoi cuccioli. Nel 2006 le viene applicato un radiocollare per tenerla costantemente monitorata. Il 29 giugno 2007 viene catturata e portata nella fossa di San Romedio.
Il 14 aprile 2008 viene spostata nel Casteller, perché il precedente ambiente era troppo angusto per lei: l’orsa aveva iniziato a dare forti segnali di disagio, tra cui bava alla bocca.
Nell’agosto 2010 viene trasferita in Germania, nel parco zoologico Alternativer Wolf-und-Bärenpark Schwarzwald: la struttura è a tutti gli effetti uno zoo, con tanto di visitatori paganti e meno di un ettaro ad animale.
Questo trasferimento, così come tutti gli altri, non ha nulla a che fare con il benessere degli orsi e non è altro che un tentativo di far fronte al sovraffollamento delle strutture detentive trentine e all’incapacità di applicare modelli di convivenza che in Abruzzo e in altre parti del mondo sono consolidati.

Nell’intervista che segue al trasporto in Germania, l’operatore della fondazione tedesca ironizza sul Servizio Foreste e Fauna della PAT:

«Non ho mai fatto un trasporto così calmo e tranquillo come quello con Jurka. Jurka è un’orsa sensibile che non dà complicazioni. Le autorità italiane (trentine) ci avevano detto di stare particolarmente attenti con lei. Hanno addirittura voluto controllare la nostra gabbia, dando dei colpi sul metallo (ride)».
Jurka è la mamma di Bruno (JJ1), l’orso ribelle che per fuggire da un Trentino densamente popolato attraversa il confine austriaco, per poi essere ucciso da due cacciatori in Baviera, nonostante i tentativi di salvarlo da parte di centinaia di attivisti locali. Su quelle montagne antropizzate non si vedeva più un orso da 170 anni. Oggi Bruno è impagliato in un museo di Monaco.
Jurka è anche la madre di JJ4, l’orsa che è attualmente nel mirino della PAT per un incontro ravvicinato con due cacciatori usciti dal sentiero segnato, mentre è accompagnata dai suoi cuccioli.

In natura gli orsi percorrono decine di chilometri al giorno: rinchiuderli in gabbie, fosse e recinti, privandoli così della loro libertà, vuol dire non solo ignorare deliberatamente le loro esigenze etologiche, ma anche considerarli alla stregua di pupazzi con cui attrarre e intrattenere i turisti, andando peraltro a normalizzare l’abuso animale come forma di intrattenimento.

Questi orsi ci dimostrano la loro resistenza (pensiamo a M49) come ci dimostrano a che logoramento psico-emotivo e fisico porta la prigionia (bava alla bocca, movimenti stereotipati, autolesioni, ecc). In parte lo sappiamo anche noi, dal momento che è da più di un anno che viviamo il confinamento. E allora come facciamo a ignorare così sfacciatamente la sofferenza di questi animali? Impariamo a riconoscere e decostruire il nostro privilegio, e utilizziamolo per liberare, non per imprigionare.