1 marzo 2021: giornata mondiale contro la discriminazione.
Il termine ‘discriminazione’ deriva dal latino ‘discriminatio, -onis’, da
‘discrimen’, separazione.
Quando si parla di discriminazione sociale si parla di una vera e propria ideologia che discrimina e quindi separa, relegando a uno spazio altro, possibilmente invisibile, tutto ciò che sfugge dal modello socialmente precostituito.
Si tratta di spazi reali, tangibili, con cui abbiamo convissuto e conviviamo, ma di cui allo stesso tempo abbiamo ignorato e ignoriamo l’esistenza, proprio perché invisibili, o meglio, “invisibilizzati”: i campi di concentramento e di lavoro, i ghetti, i manicomi, le carceri, gli allevamenti…
Ma si tratta anche di spazi meno tangibili, ovvero di tutti quegli spazi creati dalla cultura dominante per silenziare e sovradeterminare.
Citando una nota femminista nera, potremmo chiamare questi spazi “margine” (cfr. bell hooks, “Feminist Theory: From Margin to Center” ed “Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale”). Secondo bell hooks, si tratta di spazi ovviamente non sicuri, dal momento che costituiscono appunto il margine, la zona periferica di quel centro che coincide con la cultura dominante. Ma si tratta allo stesso tempo di spazi di resistenza e di «radicale possibilità».
Se la lotta contro la discriminazione coincide con un concetto di uguaglianza basato sul progressivo rispecchiamento del modello, del centro, della cultura dominante, allora noi non condividiamo questa lotta. Come bell hooks, ci ri-appropriamo del margine e lo rivendichiamo come spazio di resistenza e di lotta: una resistenza e una lotta contro qualsiasi forma di discriminazione e oppressione, sempre e comunque finalizzate a una liberazione che sia totale.