Lettera Aperta al Ministro della Transizione Ecologica Cingolani

Ministro Cingolani,
Ci troviamo oggi costrettз a scriverle per ricordarle le sue responsabilità in quanto ministro della transizione ecologica rispetto alla situazione dell’orso bruno in Trentino. L’ex ministro dell’ambiente Sergio Costa si è più volte espresso negativamente sull’operato della Provincia Autonoma di Trento (d’ora in poi PAT), ma non si è di fatto adoperato in alcun modo per tutelare la vita degli orsi. Dopo tre mesi e mezzo dall’inizio del suo mandato e nonostante il sollecito dell’Ente Nazionale Protezione Animali (ENPA), lei non si è ancora espresso in merito e ci chiediamo se lo farà il 5 giugno, in occasione del suo intervento su “Transizione giusta e territori” al Festival dell’Economia che si terrà proprio a Trento.

Il Ministero della Transizione Ecologica ha funzioni in materia di tutela della biodiversità e degli ecosistemi, quella stessa biodiversità e quegli stessi ecosistemi che la PAT sta distruggendo con un modello di turismo insostenibile e l’iperantropizzazione del territorio alpino. Il Ministero dovrebbe anche svolgere un ruolo di indirizzo e vigilanza sulle attività dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), quello stesso istituto che appoggia deliberatamente il piano di sterminio dell’orso bruno che è stato messo in atto dalla PAT.
Secondo la Convenzione di Berna, ratificata dall’Italia con la legge n. 503 del 5 agosto 1981, l’orso bruno è una specie di fauna rigorosamente protetta.
Secondo la Convenzione di Washington sul Commercio Internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di Estinzione (CITES), resa esecutiva dall’Italia con legge n. 150 del 7 febbraio del 1992 e modificata dalla legge n. 59 del 13 marzo del 1993, integrata dal D.Lgs. n. 275 del 18 maggio 2001, il commercio dell’orso bruno è regolamentato per evitare uno sfruttamento incompatibile con la sua sopravvivenza.
Secondo la Direttiva Habitat 92/43/CEE, recepita dall’Italia con il DPR n. 357 dell’8 settembre 1997, modificato e integrato dal DPR n. 120 del 12 marzo 2003, l’orso bruno è una specie di interesse comunitario che richiede una protezione rigorosa. Inoltre, la legge n. 157 dell’11 febbraio 1992 inserisce l’orso bruno tra le specie particolarmente protette.
Ma se il quadro normativo comunitario, europeo e nazionale impone allo Stato italiano la responsabilità di assicurare un soddisfacente stato di conservazione alle popolazioni di orso bruno presenti sul territorio nazionale e ai loro habitat, e impegna le Regioni a mettere in atto le azioni di tutela, gestione e monitoraggio delle stesse, com’è possibile che la PAT negli ultimi vent’anni abbia impunemente ucciso e imprigionato 37 orsi?

Com’è possibile che una specie considerata a forte rischio di estinzione, come si legge nella scheda di valutazione della lista rossa della IUCN, venga sterminata con tanta leggerezza?
La Direzione Protezione della Natura e del Mare (DPNM) tra il 2010 e il 2014 ha attuato un progetto Life per la conservazione delle due popolazioni di orso bruno, quella alpina e quella appenninica, con un finanziamento europeo di 2.694.934€. Il progetto aveva come finalità l’implemento delle misure di prevenzione, e di informazione e consapevolizzazione della cittadinanza. Eppure, ancora oggi, mamme che difendono i propri cuccioli dall’ignoranza umana sulla convivenza uomo-orso vengono considerate “problematiche” e quindi imprigionate o uccise.
Ciò che andrebbe quantomeno ammesso è che non vi è ad ora alcun interesse nella tutela e nella protezione dell’orso. Misure come quelle di cui sopra erano già previste dal Piano d’Azione interregionale per la Conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi Centro-orientali (PACOBACE), ma sono state attuate solo in minima parte. Il PACOBACE viene preso in causa solo quando può diventare un documento utile per catture, imprigionamenti e abbattimenti. Non a caso nel 2015 il piano ha subito una modifica volta a inasprire le misure da attuare contro gli orsi considerati “problematici”. Ma lo stesso piano considera “problematico” un orso che «attacca (con contatto fisico) per difendere i propri piccoli, la propria preda o perché provocato in altro modo». Insomma, un orso che applica la sacrosanta legittima difesa è considerato “problematico”.
Ma se l’orso che si comporta da orso è “problematico”, allora tutti gli orsi lo sono e diventano quindi passibili di ergastolo o pena di morte.
E sorge spontanea una domanda: cosa ci aspettava quando sono stati investiti milioni di soldi pubblici per ripopolare l’arco alpino con l’orso bruno (progetto Life Ursus)? Come si legge nello stesso PACOBACE, «l’orso bruno talvolta è visto come fonte di pericolo per l’uomo, questa percezione è normalmente maggiore nelle aree di recente ricolonizzazione, ove gli abitanti hanno perso la memoria storica della presenza della specie», come nel caso del Trentino. Se il grado di pericolosità di un orso è influenzato dalla percezione umana e se l’orso bruno, così come tutti i grandi carnivori, incutono quasi sempre paura, non sarebbe forse il caso di rivedere la tabella del PACOBACE sul grado di problematicità dei possibili comportamenti di un orso e sulle relative azioni? E se il problema è l’orso in sé, com’è possibile che il Piano d’Azione per la Tutela dell’Orso Marsicano (PATOM) non ha subito le stesse modifiche? Forse non è l’orso ad essere “problematico”? Forse problematica è la gestione?
Ma se questa gestione problematica continuerà a godere della connivenza di chi l’orso dovrebbe proteggerlo, la situazione non potrà che peggiorare. Per questo motivo ribadiamo la richiesta iniziale: la preghiamo di assumersi le sue responsabilità e di prendere una posizione chiara, informata, disinteressata e a cui seguano azioni concrete sulla situazione degli orsi in Trentino.
Campagna #Stopcasteller